Oggi è il Giorno della Memoria, e quest’anno, nel clima mondiale di ritorno di sciovinismo e intolleranze, sembra essere più sentito del solito. Probabilmente perché molti sopravvissuti ai campi di sterminio sono anziani e il rischio di perdere la memoria si fa più acuto e penetrante, e perché c’è una tendenza sottile e strisciante a minimizzare la condizione di vittima degli ebrei. Non tutte le vittime erano ebree, ma tutti gli ebrei erano vittime, per usare le parole di Elie Wiesel.
Le parole sono importanti. Le parole definiscono la nostra comprensione del mondo. Quando diciamo Shoah, come si legge in apertura del bel WebDoc di RAI Cultura dedicato a questo tema, ci riferiamo allo sterminio del popolo ebraico perpetrato dai nazisti, che furono il bersaglio principale dei carnefici. I numeri sono evidenti: sei milioni di ebrei morti, qualcuno dice di più.
Ci furono altri stermini perpetrati nei campi, con altrettanta ferocia e soprattutto pianificazione sistematica, oserei dire scientifica. L’omocausto, vale a dire l’olocausto degli omosessuali, il silenzio assordante dei triangoli rosa. Ricordo l’emozione di sedermi in riva al canale dell’Homomonument, significativamente vicino alla casa di Anna Frank, ad Amsterdam, quando arrivai in città nel 2014. Lo sterminio di rom e sinti, detto Porajmos (“devastazione”) o Samudaripen (“tutti morti”). Furono perseguitati anche i pentecostali. L’esperanto, in quanto lingua progettata da un ebreo, Ludwik Lejzer Zamenhof, era considerata una lingua pericolosa, e gli esperantisti furono perseguitati in quanto tali. E magari ne ho dimenticato qualcuno. Me ne scuso. La memoria non è un oggetto fisso, è dinamica, va coltivata. Non si smette mai di imparare a ricordare.
Lo sterminio degli ebrei è stato quello primario. Se usiamo il termine ebraico Shoah, ci riferiamo specificamente allo sterminio ebraico. Va ricordato parimenti che ce ne sono stati altri. Non possiamo chiamarlo ‘olocausto’, perché il termine classicamente significa ‘offerta sacrificale a Dio’. Io non sono credente, ma questo non vuol dire che sia giustificato a offendere i credenti. Trovo il termine ‘olocausto’ usato in questo modo offensivo per la loro sensibilità. Ripeto, le parole sono importanti. Soprattutto su un tema così delicato.
L’unico termine ombrello che trovo adeguato è sterminio. Indica con precisione quello che è avvenuto a tutti i prigionieri nei campi, che per l’appunto non erano ‘di concentramento’, erano ‘di sterminio’.
Questo articolo intende fornire qualche indicazione utile per i laureandi di area umanistica che si accingono a preparare la discussione di tesi, sulla base della mia esperienza di relatore di tesi a Scienze Linguistiche presso l’Università di Torino. A Scienze Linguistiche c’è una consuetudine a preparare handout anziché presentazioni, e spesso i laureandi non hanno alcuna esperienza pregressa nella preparazione di questo tipo di documento.
La prima buona notizia è che un handout, se fatto bene, è più efficace di una presentazione. Se non ci credete, consiglio il gustoso quanto intelligente The Cognitive Style of Power Point del maestro indiscusso dell’infografica, Edward Tufte. Il suo libro The Visual Display of Quantitative Information dovrebbe essere reso obbligatorio in tutti i corsi di laurea, non solo di area umanistica, ma ancor di più di area scientifica. Vale la pena di riportare le sue parole:
Give everyone, always, a paper handout: a preprint, a reprint, an 11 by 17 piece of paper folded in half. You want to leave traces by providing high-resolution materials that live beyond the moment. Posters, which are usually read at a distance, tend to be low resolution (like slides). Real science is high-resolution; use high-resolution methods of presentation.
Un handout, detto anche thesis statement in alcuni contesti accademici, è un breve documento che presenta i punti essenziali del lavoro del laureando, a partire dall’ipotesi per arrivare alla tesi, evidenziando il percorso effettuato nel mezzo. La buona notizia per il laureando è che il lavoro è già stato fatto, si tratta solo di presentarlo adeguatamente.
Innanzitutto, per cortesia accademica, verrà fornita una copia per ciascun membro della commissione giudicante, non solo relatore e correlatore, quindi si pensi al numero di copie da stampare in anticipo. Quando il candidato verrà chiamato, chiederà il permesso di dare una copia a ciascun membro della commissione prima di sedersi e dare inizio alla discussione stessa.
Nell’intestazione, il candidato avrà cura di scrivere il proprio nome e cognome, il titolo della tesi e la data della discussione. L’handout deve contenere pochissimo testo scritto, per evitare che i commissari leggano l’handout e così facendo non ascoltino il discorso del laureando stesso. L’informazione scritta principale dev’essere per l’appunto l’ipotesi e la tesi.
Facciamo un esempio.
Dall’handout della tesi di laurea di Laura Vardeu, discussa il 10 novembre 2015 a Torino, dal titolo: “A noi il sardo te lo imparano i tuoi genitori e l’italiano a scuola”. Una sperimentazione linguistica in Sardegna:
Obiettivi : 1) utilizzare il sardo come lingua veicolare in orario curricolare per apprendere nuovi contenuti disciplinari 2) sperimentare le norme linguistiche per il sardo scritto (LSC) e valutare se fossero utilizzabili in ambito didattico o se, al contrario, suscitassero pulsioni micro- campanilistiche e sentimenti di rifiuto.
Se avete letto il titolo e gli obiettivi della tesi (che coincide con l’ipotesi), dovrebbe essere sufficiente a capire di cosa trattava il lavoro. Leggete ora la conclusione dell’handout, che vi riporto qui di seguito:
La standardizzazione del sardo non può venire unicamente dall’alto ma bisogna tenere conto dei suoi utenti privilegiati:
– sperimentare sistematicamente la LSC nelle scuole.
– estendere la ricerca al sud dell’isola; le eventuali reazioni negative degli studenti meridionali, lungi da compromettere l’introduzione della LSC a scuola, potrebbero essere un’occasione per apportare alcune modifiche e rendere la lingua scritta maggiormente adatta alle esigenze dei parlanti.
Avete capito in sintesi la tesi, senza leggere il riassunto, non è così?
(Per gli interessati, il riassunto, in italiano e in inglese è qui, nel brutto sito web dell’Ateneo torinese che archivia le tesi per il pubblico).
Ecco il punto: il riassunto non serve per spiegare la tesi. L’informazione testuale la date voi con la vostra presentazione orale, in carne e ossa.
E quindi: cosa va inserito nel mezzo? Semplice: informazione grafica ben fatta. Tabelle, esempi glossati, alberi sintattici, o grafici veri e propri andranno benissimo. Copiate e incollate dalla tesi. Ricordate: l’informazione grafica contiene pochissima informazione testuale.
Da evitare assolutamente le citazioni — alla commissione interessa il lavoro del candidato, non cosa ha detto Ferdinand De Saussure o Noam Chomsky (per dire), per quanto pertinente e autorevole possa essere. Ciò vale sia per l’informazione testuale che per quella grafica. Esempio: non inserite un grafico riportato dalle fonti, ma un grafico che avete fatto voi.
La lunghezza ideale di un handout è due facciate, recto e verso di un singolo foglio A4. Se i colori hanno significato, per una volta fate l’investimento e stampate a colori. Se sono decorativi, stampate in bianco e nero. Anzi: aprite la vostra tesi e toglieteli. Non servono. Se proprio dovete fare un handout più lungo, pensatelo come un libro aperto: prima pagina singola, poi si apre, e le pagine due e tre sono una di fianco all’altra.
Vi chiederete quali tipi di carattere, margini, interlinea… La verità? Se mi avete seguito fin qui, avrete capito che si tratta soli di dettagli. Ma io so che voi insistete per avere delle dritte. Riporto una pagina estratta dal libro già citato in precedenza:
Fonte: Mini Tufte, a sua volta una collezione di estratti da The Visual Display of Quantitative Information
Naturalmente, per gli utenti LaTeX, esiste un package ispirato all’opera di Edward Tufte, con uno foglio di stile per handout e uno per i libri. Uso il package da qualche anno per scrivere le Lecture Notes del corso di interlinguistica all’Università di Amsterdam, mi trovo benissimo (per chi fosse interessato: non necessita di XeLaTeX).
Ne incollo qui sotto un estratto.
Va da sé che l’estratto non proviene da un handout, ma da un libro — se mai lo pubblicherò. Lo condivido — con i margini del foglio A4 in evidenza — per mostrare che anche gli spazi bianchi sono portatori di significato.
In altre parole: non affastellate il vostro handout di informazioni, ci siete voi a spiegare! Può essere utile mettere i numeri di pagina della tesi sotto l’informazione grafica che riportate da quest’ultima, così — se serve — potete facilmente trovare da dove avete preso le informazioni.
In una indubbia situazione di stress adrenalinico quale la discussione di laurea è, ve lo consiglio. In bocca al lupo!