Co-ouderschap, Casa 10 e il Futuro

Domani è il 26 giugno e un alcuni tra i miei affezionati tradizionalmente si fanno sentire per fare gli auguri per l’anniversario di matrimonio.

Per farla breve, non fatelo.

( Fermatevi qui. Abbiamo superato i 200 caratteri. La vostra soglia dell’attenzione è superata. Andate altrove.)

Ho appena cambiato il mio status matrimoniale nella verità attuale: è complicato.

Difatti, io e Francesca continuiamo ad avere un qualche tipo di relazione e continueremo ad averla, perché abbiamo due figli e continuiamo ad esserne i genitori. Ma questo è quanto. Nulla di più, nulla di meno.

C’è una bella parola olandese per descrivere una situazione che, come ho fatto notare ai miei figli, è la norma: i compagni di scuola con genitori che stanno insieme sono una minoranza, e quindi eccoci qui, siamo diventati normali.

Per descrivere una situazione che, come ho fatto notare ai miei figli, è la norma (visto che i compagni di scuola con genitori che stanno insieme sono una minoranza, quindi eccoci qui siamo diventati normali) c’è una bella parola olandese che ho imparato di recente: co-ouderschap.

In italiano sembra esista il corrispondente ‘co-genitorialità’. Finora ho solo sentito co-parenting, come in inglese, ma forse questa è solo la solita anglofilia provinciale dei milanesi. Chissà se in esperanto kungepatreco è abbastanza trasparente, non ne ho mai sentito parlare. Se lo proponessi come traduzione, probabilmente verrebbe discusso con i soliti noiosi pro e contro dai soliti quattro esperantofoni che non ne sanno un fico secco, di cosa vuol dire esserci in mezzo, tanto per dirne una, e che hanno molto, troppo tempo libero.

( Scusate, la solita digressione del linguista. Con una puntina acida. Tentazione quasi irresistibile. Torno al senso di questo post.)

( Sempre che un senso questo post ce l’abbia. )

E ora che cosa succede?

Da circa un mese vivo nella casa numero dieci: le prime due a Padova, dove sono nato; altre due a Monza, dove ho passato l’adolescenza; ne conto tre ad Amsterdam, la città che mi ha accolto; ne conto mezza, ma facciamo una a Torino, la città della mia Alma Mater; e infine tre a Milano, la città dove sono andato a vivere da solo per scelta (Casa 5), dove poi ho contribuito a formare una famiglia (Casa 6) ma dove non ho mai lavorato come avrei meritato. E infine torno a vivere da solo (Casa 10), stavolta non per scelta.

A Milano sono nati e cresciuti i miei figli, ed è qui dove, nell’ultimo mese sono tornato a vivere da singolo, mio malgrado, con l’aiuto di un amico, che rimarrà rigorosamente anonimo. Se tutto va bene, sarò presto in Casa 11. Sempre a Milano, perché la co-genitorialità (a me piace chiamarla così) è una cosa seria. L’ideale sarebbe che i figli vivessero in una casa neutrale e i genitori stessero in pied-à-terre alternandosi. Ma naturalmente non siamo nella neutrale Olanda. I ragazzi stanno con la loro madre, e io cerco di stargli vicino come riesco.

Questo non vuol dire che non sia pronto a fare armi e bagagli, come si dice, e tot ziens al cosiddetto Bel Paese che non sembra apprezzarmi, almeno non professionalmente. Un pied-à-terre a Milano, finché i figli ci vivranno, lo terrò. Come dicevo, co-parenting is a serious thing. Kungepatreco estas serioza afero. (Scusate, l’ho fatto di nuovo.)

Nella foto, dal vetro virtuale rotto, la mia ex scrivania in Casa 6, recentemente messa a puntino per avere uno spazio di lavoro. Non ho avuto molto tempo di godermela.

PS

Se volete commentare questo post fatelo in privato, grazie. Ogni commento a questo posto che secondo il mio personalissimo metro di giudizio io ritenga non gradito verrà cancellato senza spiegazione. Ci sono tanti modi per sentirmi o vedermi senza commentare pubblicamente.